Domenica mattina sono uscita a correre.

È ancora un’abitudine, anche se non è esattamente la stessa cosa. Senza gare, senza obiettivi, senza una vera tabella di allenamento, corro poco, ma corro sempre

Un po’ è il bisogno di una costanza di riferimento, un po’ la risposta alla necessità di muovermi ogni giorno, un po’ è il ritmo delle gambe che sembra aiutare anche la mente a fluire, a tornare lucida e pronta al prossimo compito.

A volte, però, non funziona. 

Come domenica mattina, appunto. Nonostante il sole e nonostante un’intera giornata a disposizione davanti a me, che avrebbe dovuto essere la perfetta premessa alla possibilità di concentrarsi solo su un passo dopo l’altro, senza pensieri.

Invece i pensieri c’erano, e belli aggrovigliati tra loro.

I giorni a cavallo tra la fine di un anno e l’inizio del successivo per me sono quasi sempre un po’ sospesi, e questi ultimi lo sono stati più che mai. 

Non sento lo spirito natalizio, sono allergica alle riunioni di famiglia che si protraggono per giornate intere, e ultimamente era più semplice trovarmi su qualche sentiero (lo scorso anno anche su qualche spiaggia, ma meglio non pensarci troppo) che seduta a una tavola imbandita.

Quest’anno, in realtà, anche io ho iniziato l’anno seduta al tavolo della cucina. Davanti, però, invece del piatto avevo l’agenda, fogli, pennarelli. Per rielaborare i dodici mesi passati, e per immaginare i prossimi.

Per ripensarmi, così da poter ripensare.

Arianna mi manda un’email un’ora prima del nostro appuntamento, scrivendo che mi allega gli esercizi che ha fatto, anche se “non c'è niente di tutto quello che mi hai chiesto”. Quando ci vediamo, mi racconta che continuava a guardare le domande, e a chiedersi quale fosse la risposta giusta. Nel dubbio dell’incertezza, l’unica soluzione possibile le era sembrato non rispondere.

Che si parli di noi come individui, come parte di un gruppo o del contesto più allargato, è evidente che in questo momento il mondo ci appare più incerto che mai, e la tentazione di stare fermi ad aspettare (Che cosa? Boh, qualcosa, qualsiasi cosa) a tratti sembra irresistibile.

Eppure sono anni che ci ripetevamo che il mondo moderno è VUCA - uno di quegli acronimi comodi come un marchio per identificare le competenze necessarie per affrontare il contesto in cui ci muoviamo: volatile, incerto, complesso, ambiguo.

Ma le definizioni, si sa, da sole portano poco lontano.

Torno a un pezzo di Annamaria Testa uscito sulla soglia di quello che la maggior parte di noi non si rendeva conto essere un passaggio di non ritorno. Un pezzo sull’incertezza, che ci aveva investito ma che ancora non avevamo del tutto riconosciuto. Sulle alternative per affrontarla, e su come la maggior parte delle strategie non sia in realtà efficace.

Ecco, nove mesi dopo mi pare chiaro.

L’incertezza, quella fuori, è più che mai presente. E sull’incertezza, quella dentro, non abbiamo fatto un gran lavoro.

Cosa vi aspettate da queste giornate? 

Lo chiedo sempre, quando inizio un percorso di formazione. Le risposte cambiano a seconda dell’azienda, dei ruoli coinvolti, oltre che naturalmente dell’argomento che andremo a trattare. Ultimamente, però, c’è sempre una questione che ritorna. Che si parli di comunicazione, di gestione delle persone o di organizzazione del proprio tempo e della propria agenda.

Come si fa a gestire lo stress?

Che è una domanda diretta, ma allo stesso tempo sfuggente e complicata.

Prima di tutto, perché dipende da quale definizione di stress scegliamo: chi pensa al senso di costrizione della parola latina strictus da cui deriva il termine, vedendone quindi solo il lato negativo, di peso da sopportare e a cui, possibilmente, sfuggire.

Spesso chi offre questa chiave di lettura collega a filo doppio l’idea di stress all'idea stessa di lavoro, visto solo nella sua versione di dovere, di obbligo, a cui sottostare per motivi contingenti ma senza un reale legame con la gratificazione o l’espressione di sé.

Altri sottolineano lo stato di attivazione collegato allo stress, quell’effetto dato dall’adrenalina rilasciata dal sistema nervoso e che ci permette di reagire in modo rapido agli stimoli.

Stress che fa andare veloci, che fa pensare a soluzioni, stress che spinge nella giusta direzione.

Una delle cose che mi affascinano maggiormente, nel confronto con i clienti che incontro, è quanto riusciamo a essere tutti diversi e tutti uguali. Cioè, ciascuno arriva con la sua personale e unica esigenza, il suo vissuto, la sua esperienza. Con paure, attitudini, convinzioni.

I meccanismi di difesa, però, quelli che spesso sono anche quelli in cui ci incastriamo, alla fine si assomigliano tutti.

Fingiamo di non vedere anche quando abbiamo le cose sotto gli occhi, ci inventiamo una realtà alternativa e parallela, ci concentriamo solo su un dettaglio invece che guardare il quadro completo.

Qualche settimana fa parlavo con Sandra. Mi raccontava la sua preoccupazione per un’importante scadenza di lavoro, e come per questa avesse dovuto rinunciare al consueto ritorno estivo presso la famiglia di origine, di come un po’ temesse l'idea di un'estate solitaria in città, mentre avrebbe voluto staccare un po’, immergersi nella natura, respirare un po’ d’aria dopo tanti mesi di confinamento.

Scavando un po’ più a fondo, però, avevo scoperto che la scadenza non era così imminente, che le amiche non erano partite senza di lei, che nessun piano era stato proposto e bocciato.

Sandra si era detta di no, anzi, a dirla tutta proprio non si era nemmeno fatta la domanda.

Vuoi fare una prova?” Fabiana si affaccia alla finestra cercando qualcuno che passi per la strada “Hey, come ti senti? Tutto bene? Niente ansia?

Io rido, ma so che ha ragione.

Che il fatto che in questo momento io mi senta più nervosa e insicura del solito non è niente di eccezionale. Che i miei sbalzi di umore e le mattine in cui mi sveglio già storta mi accomunano a una percentuale non meglio specificata della popolazione, ma senza dubbio una percentuale alta.

D’altra parte, non c’è da stupirsi.

L’ansia (e non parlo di ansia patologica, che quella di certo non mi compete), lo spettro variegato di preoccupazioni che a volte mandano i pensieri in cortocircuito, è determinata da stress ambientali, e sfido chiunque a sostenere che l’ambiente attuale non sia stressante.

Se ci aggiungiamo che l’ansia è probabilmente una delle emozioni più contagiose che esistano, ecco che la dimensione potenziale del problema assume caratteri più netti.

Che ci possiamo fare, quindi?

Dicono sia “il settembre più settembre che ci sia mai stato”, e tanto per non sbagliare continuo a camminare. 

Sono fortunata.

La verità è che io, quest’anno, non avevo voglia di viaggiare.

Per lo meno rispetto ai miei parametri.

Non avevo voglia di partire da zero, di prendere un volo che mi catapultasse lontano, in un luogo dalla lingua straniera e dalle abitudini sconosciute.

Non è una cosa del tutto anomala, mi era capitato già in passato. Dopo viaggi particolarmente intensi, in cui mi era sembrato di raccogliere talmente tanti stimoli e spunti da provare il bisogno fisico di concedere loro il tempo necessario a sedimentare, depositarsi come la polvere che fluttua alla luce in un mulinello di vento.

Stavolta, però, c’era qualcosa di diverso. Che credo abbia a che fare con il viaggio da sola, e con il viaggio lento.

Le parole fanno parte del mio lavoro, ma sono prima di tutto il modo in cui funziona la mia testa.

Sarà per questo che sono loro a farmi compagnia, nelle ore di strada solitaria che caratterizzano le giornate di cammino. Cerco le parole, le combino e le contrappongo, le avvicino e lascio che si allontanino. Le osservo. Mi sembrano ogni volta nuove, anche quelle pronunciate mille volte. Sarà che rallentando riesco a vederle da un’angolatura differente, da cui perdono forse un po' della loro forma, per mostrare solo la sostanza.

Non so se sia vero che quando scegli un cammino lo fai perché è lui a chiamarti, o se quelle che definiamo coincidenze sono il modo che il nostro cervello usa per dare risposte a quello che stiamo cercando. Non so se sia la casualità della serendipity o la scientificità dell’attenzione selettiva.

Al liceo la fisica mi sembrava una grande fregatura. Alla prima lezione mi avevano illuso che in quelle formule avrei capito il funzionamento del mondo, alla seconda già mi dicevano che però dovevo considerare un sistema ideale, in cui punti senza peso e senza dimensioni si muovevano in uno spazio senza aria e senza gravità. Un interessante esercizio teorico, ma io volevo capire come funzionavano davvero le cose.

Di quelle formule ricordo ben poco, ma in questi giorni ogni tanto ci penso.

Per settimane ho rallentato e rallentato, e adesso cavoli se la sento, l’inerzia che rende difficile riprendere il movimento.

Principio d’inerzia: un corpo permane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme a meno che non intervenga una forza esterna a modificare tale stato.

Mi sento proprio così. Magari non ferma, ma certo frenata. Come se ogni azione richiedesse una quantità di energia superiore al consueto. Un'energia che fatico a ritrovare.