La mia reazione di fronte all'imprevisto, che è spesso quella di buttarmi e poi vedere come va, non è coraggio. Se dovessi spiegarla, direi piuttosto che è un po’ caso, un po’ istinto.

Quell’istinto che quando mi sento costretta mi fa divincolare, perché dentro a confini troppo stretti non ci so stare, e allora lì il ragionamento c’entra poco, non mi chiedo se avrebbe più senso fermarmi un istante e scegliere la strategia migliore, non mi preoccupo se muovendomi rischio di farmi male.

Perché la verità è che quando è il momento di cambiare, soprattutto se siamo costretti a cambiare, spesso lasciamo che sia la fretta a decidere.

Dimenticando che nel cambiamento non dobbiamo per forza essere soli, ma possiamo scegliere chi avere accanto.

Gennaio è partito come sempre: con l’agenda organizzata e pronta per i progetti pianificati per il nuovo anno.

Poi una alla volta le caselline colorate dell’agenda hanno iniziato a saltare, a slittare, a dileguarsi. Ora, non che la cosa non succedesse anche in azienda: idee che sembravano così interessanti da dover essere realizzare immediatamente - e che invece si sono impantanate chissà dove, travolte dalle urgenze o dai cambi di direzione.

Solo che, quando lavori in proprio, le battute d'arresto sembrano molto più brusche.

Perché in azienda i buchi dell’agenda sembrano riempirsi come per magia. C’è sempre qualcosa da fare, qualcuno che ti chiede una mano. E, nella peggiore delle ipotesi, c’è sempre l’archivio di sistemare. 

Non è che adesso abbia meno cose da fare. Anzi.

Gli spazi liberati dalle attività contingenti dovrebbero essere una manna dal cielo, fondamentali per mettere le fondamenta per i piani a medio o a lungo termine.

Mi stavo a malapena riprendendo dallo shock di veder festeggiare il trentesimo anniversario della caduta del muro di Berlino e, subito dopo, da quello di rendermi conto che il mio precedente viaggio in Australia era “diventato maggiorenne”, che mi sono imbattuta in un post dal titolo “It’s 2020 and you’re in the future.

Senza alcuna pietà, l'autore mi ricordava che l’uscita di film come Jurassic Park Forrest Gump è più vicina all’allunaggio che al presente, che chi ha almeno 35 anni è più vicino al 1940 che a oggi, che chi nascerà quest'anno ha buone probabilità di arrivare a vedere il prossimo, di secolo.

Solo un attimo fa questo 2020 ci sembrava un futuro così lontano, ma cosa è rimasto di quello che ce ne immaginavamo?

Se il primo passo del cambiamento è decidere di buttarsi, andando oltre il timore di renderci ridicoli e di non corrispondere alle aspettative esterne che diamo ormai per scontate, il secondo è sfidare la paura di sprecare quello che abbiamo fatto.

Chissà perché ci hanno convinto che per cambiare bisogna per forza tirare una riga e cancellare tutto quello che c'è stato prima.

Mentre per evitare di vagare senza direzione, è essenziale partire proprio da dove sei in questo momento.

Un tema a cui sono tornata più volte leggendo "Travel As Transformation: Conquer the Limits of Culture to Discover Your Own Identity” di Gregory Diehl, un libro che mi ha in egual misura affascinato e infastidito, a metà tra spunti di riflessione che ho trovato interessanti e una certa supponenza che a tratti mi provocava un moto di rifiuto, per cui chiudevo il libro per riprenderlo magari dopo qualche settimana.

Forse non era la sua risposta a infastidirmi, ma la resistenza ad affrontare la domanda che ci stava dietro.

Chi sei davvero?

Non so se ho sempre avuto una passione per le parole, o se è venuta con il tempo e con il lavoro che sono capitata a fare. Persone ogni giorno nuove che mi parlavano di sé, fin da quando facevo colloqui seduta nel front office di un’Agenzia per il Lavoro, persone ogni giorno diverse in tutto quello che è successo dopo. Ho sempre trovato naturale, mentre ascoltavo, prendere appunti su ciò che mi appariva importante, che mi diceva qualcosa. Riportare le parole che sembravano risuonare maggiormente, non perché fuori contesto, ma per come erano pronunciate. Scelta, successo, ambizione, soldi, leadership, famiglia. Ne ho sentite a decine, negli anni. 

Mai scelte per caso.

Dire che le parole costruiscono il nostro mondo non è un’esagerazione. Non in senso letterale, certo. Ma raccontano in modo più chiaro di quanto possiamo immaginare quello che nel tempo abbiamo inconsciamente fatto nostro, i limiti che vediamo o che ci imponiamo da soli, la visione della vita e delle persone con cui abbiamo a che fare. Forse è anche questo che mi ha attratto della ricerca di Brené Brown, e che mi ha portato fino in Texas per studiare e certificarmi con lei.

Perché nel mondo del lavoro il bisogno di riappropriarsi del senso delle parole è forse più urgente che mai.

Da bambina alla domanda “Cosa vuoi fare da grande?” restavo muta.

Nei colloqui a “Come si immagina tra cinque anni?” non sapevo cosa rispondere.

Eppure una volta entrata nel mondo del lavoro sembrava avessi trovato rapidamente la mia strada, ogni volta che emergeva un nuovo progetto mi proponevo, sono stata promossa a posizioni interessanti.

La verità, però, è che ho sempre rischiato poco, perché cercavo prima di tutto di evitare il fallimento.

Ci raccontiamo storie di quanto gli altri siano più coraggiosi di noi, di come per loro sia più semplice fare scelte contro corrente, perché loro ci sono nati, con quella determinazione. Tutte storie.

Abbiamo tutti paura.

Un mazzo multicolore di tulipani, la bellezza della diversità da coltivare e raccogliere
Foto di Alice Achterhof @alicegrace

La mia parola dell'anno è raccogliere. È il terzo anno che trovo un filo conduttore per i dodici mesi che iniziano, e ogni volta mi sembra di non essere io a scegliere la parola, ma che sia lei a scegliere me. Parto da un'idea, mi immergo nella diversità di etimologie e sfumature, immagino di dirigermi in una direzione e mi trovo in quella opposta.

Raccogliere mi sembrava pretenzioso.

Come dichiarare di voler stare seduta ad aspettare il ritorno di quanto investito. 

Ma raccogliere è un verbo, non un sostantivo. Niente di statico, niente di scontato. 

Una parola che racconta un intero anno: per raccogliere bisogna prima seminare, prendersi cura dei germogli quando sono ancora delicati, affrontare il sole e la pioggia, osservare i frutti per metterli da parte via via che arrivano a maturazione, evitando che possano andare sprecati.

Un bell’investimento.

Direzione e distanza da ushuaia

Se mi concentro sono sicura di riuscire a sentirli ancora, quei rumori. La campanella che suona, i passi che si affrettano su per le scale, le risate in direzione della nuova classe per evitare che resti vuoto solo il banco in prima fila.

Per molti è questo, il vero inizio dell’anno. Il primo giorno di scuola.

In realtà di solito io sono tra quelli che le domande sulla direzione da prendere se le fanno a capodanno: qualche volta stilando la classica lista di buoni propositi (che spesso finiscono troppo presto nel dimenticatoio), lo scorso gennaio con pensieri un po’ diversi, pronta a cominciare non solo un nuovo anno ma soprattutto una nuova vita.

Ma quest’estate un po’ anomala, di ritmi rallentati fuori e dentro, di ricordi da bambina da lasciar andare e specchi in cui guardarsi come fosse la prima volta, è stata prima una stagione di bilancio, poi di rielaborazione, infine di nuova progettazione.

Perché se non è più di moda porsi dubbi esistenziali e assoluti, se cerchi di definire i tuoi prossimi passi prima o poi almeno te lo chiedi - 

Chi sono io, in questo momento?

Mia sorella è partita da quindici giorni. Non è ancora il trasferimento definitivo, ma ormai si tratta solo di attendere i tempi tecnici per ottenere il visto di lavoro. Ha venduto la maggior parte delle sue cose, altre le ha regalate, la casa è sempre più vuota. Spera di riuscire a vendere presto anche quella. Direzione, l'Australia. Quello che si dice cambiare vita.

E in effetti, quando pensiamo a come potremmo inventare la nostra vita immaginiamo possa essere solo così.

Mollo tutto, vado via. Addio al traffico, alla fretta, alle troppe ore di lavoro.

Un bellissimo quadro, che però per la maggior parte delle persone resta il proverbiale sogno nel cassetto. Chiuso a doppia mandata.