Quando ero piccola, l’oggetto che preferivo tra quelli nell’auto di mio padre era l’atlante stradale. Studiarlo, immaginare le strade che solcavano le diverse regioni d’Italia. L’emozione di quando si partiva sapendo che non sarebbe stato sufficiente affidarsi al primo volume, quello dedicato alle regioni del nord. Uscire da quelle pagine un po' spiegazzate per inoltrarsi in altre, ancora lucide e per questo misteriose, mi sembrava in sé una piccola avventura.
Oggi anche io, come tutti, quando mi sposto mi affido quasi sempre alla comodità del gps integrato direttamente nel cellulare, e della vocina che mi dice dove andare.
Però.
Però ho osservato che così non impari i percorsi, perché segui le indicazioni della voce che ti guida, senza farti altre domande, senza lo stimolo di crearti dei punti di riferimento per la volta seguente. Tanto la voce non si stancherà di guidarti anche se dovessi chiedere lo stesso itinerario decine di volte.
E nemmeno provi le alternative, anche solo per il gusto di vedere cosa succede. Provare la strada parallela a quella che stai percorrendo e scoprire se c’è un palazzo con una bella facciata. O parcheggiare a qualche centinaio di metri per passare nel verde di un parco anziché su un’arteria trafficata.
La mia sensazione è che, in questo modo, il percorso non possa mai diventare realmente nostro.
Non lo costruiamo a misura dei nostri bisogni, ma ci adattiamo a parametri di altri.
E questo vale nei viaggi, ma non solo.