Con la curva del cambiamento ho a che fare quasi tutti i giorni. Perché è quella che accompagna i percorsi di coaching individuale. Perché è quella che caratterizza i processi di innovazione in azienda. Perché è quella che vivo quando mi prende la vertigine di non capire in quale direzione muovere il prossimo passo, quando mi sembra di aver puntato troppo in alto, quando dubito di essere abbastanza capace, forte, brava per farcela.

Perché anche quando il cambiamento è scelto, e non subìto, non è che tutto vada sempre liscio e secondo le aspettative.

Anzi, non lo fa quasi mai.

Sono un'ottimista, e quando vedo una nuova opportunità mi faccio prendere dalla curiosità di capirne di più. Ma quando sei nel bel mezzo del cambiamento, l’arco che si percorre resta quello: l’entusiasmo iniziale che proietta in scenari da sogno, l’impatto con la consapevolezza che le cose per realizzarsi richiedono spesso più tempo e fatica di quanto volessimo ammettere inizialmente, la tentazione di mollare tutto.

L’inghippo è tutto qui.

Non so se ho sempre avuto una passione per le parole, o se è venuta con il tempo e con il lavoro che sono capitata a fare. Persone ogni giorno nuove che mi parlavano di sé, fin da quando facevo colloqui seduta nel front office di un’Agenzia per il Lavoro, persone ogni giorno diverse in tutto quello che è successo dopo. Ho sempre trovato naturale, mentre ascoltavo, prendere appunti su ciò che mi appariva importante, che mi diceva qualcosa. Riportare le parole che sembravano risuonare maggiormente, non perché fuori contesto, ma per come erano pronunciate. Scelta, successo, ambizione, soldi, leadership, famiglia. Ne ho sentite a decine, negli anni. 

Mai scelte per caso.

Dire che le parole costruiscono il nostro mondo non è un’esagerazione. Non in senso letterale, certo. Ma raccontano in modo più chiaro di quanto possiamo immaginare quello che nel tempo abbiamo inconsciamente fatto nostro, i limiti che vediamo o che ci imponiamo da soli, la visione della vita e delle persone con cui abbiamo a che fare. Forse è anche questo che mi ha attratto della ricerca di Brené Brown, e che mi ha portato fino in Texas per studiare e certificarmi con lei.

Perché nel mondo del lavoro il bisogno di riappropriarsi del senso delle parole è forse più urgente che mai.

"Ho una novità! Torno a casa e in anticipo!"

Un messaggio un lunedì sera qualunque, un messaggio che migliora subito la settimana: quello di una nuova Bambina che fa un passo verso i propri sogni.

Ne ho incontrate molte, negli ultimi tre anni. Quando ero in azienda, le osservavo ammirata, chiedendomi se un giorno lontano lontano anche io avrei potuto essere una di loro. Erano quelle che avevano già spiccato il salto, che erano uscite dal sentiero tracciato.

Che avevano scelto.

Con loro mi affacciavo dietro le quinte, nelle oscillazioni tra il dubbio e la felicità, tra i piccoli successi e le delusioni che ci sembrano enormi.

Ogni storia che avevo raccolto, però, cominciava “dopo”. A volte solo dopo il primo passo, altre dopo un percorso di mesi o anni.

Monica invece l’ho incontrata prima di tutto questo.

In cima all'isola di Kashima per suonare e ascoltare il suono della campana

Sono ormai tornata da quasi due mesi, e le settimane in Giappone sembrano, per certi versi, un ricordo sfumato. D’altra parte credo possano esserci poche cose tanto differenti quanto il ritmo del cammino e la mia vita milanese.

Da un lato giornate in cui il tempo rallenta e si riempie di un gesto che, alla fine, non raggiunge alcuno scopo concreto, riportandoti addirittura all’esatto punto da cui eri partito. Dall’altro un metronomo che scandisce un ritmo che dall’allegro-andante può arrivare senza preavviso al fortissimo, una città in cui il tuo valore si rapporta alla velocità di risultato che riesci a portare.

Qualcosa però, è rimasto nel profondo. Non è semplice spiegarlo, perché raccontare se stessi fa sempre sentire in bilico tra il desiderio di condivisione e il rischio di suonare arroganti. E perché quello che dentro senti con chiarezza sembra annacquarsi in parole che vorresti veder maneggiare con più cura.

La differenza tra quello che faccio, e quello che sono.

Scrivo preparando lo zaino, e quando la prima persona leggerà queste righe sarò dall’altra parte del mondo. Dentro allo stomaco sento mescolarsi l’agitazione e la quiete che provo di fronte a un nuovo lungo viaggio, l’emozione dell’attesa e la costante domanda se sia giusto, se si possa fare, se me lo merito. In pratica, la mia definizione di vulnerabilità.

Ho sentito parlare per la prima volta di Brené Brown tre anni fa. Quando Eloisa mi aveva suggerito quel TED Talk da decine di milioni di visualizzazioni, lo avevo cercato subito: avevamo iniziato il master solo da qualche settimana, ma lei e io ci eravamo riconosciute immediatamente. Un traccia comune in tanti snodi dei rispettivi percorsi, la stessa curiosità di scoprire qualcosa di nuovo. Sapevo che mi potevo fidare di un consiglio che arrivava da lei, ma non sapevo ancora quale traccia avrebbe lasciato.

Nel video avevo scoperto una texana che parlava in modo appassionato di una parola che facevo fatica anche solo a pronunciare.

Vulnerabilità.

Be you. Belong. Autenticità è il coraggio di riconoscersi ed essere se stessi.

e.e. cummings lo sosteneva già un secolo fa:

“essere nessun altro che te stesso - in un mondo che fa del suo meglio, notte e giorno, per renderti chiunque altro - significa combattere la battaglia più dura che qualsiasi essere umano possa combattere”

Perché alla fine, cosa vuol dire autenticità?

Oggi siamo più che mai esposti al mondo, nelle interconnessioni necessarie e in quelle che ci scegliamo, nella pressione di corrispondere alle aspettative del contesto e in un bisogno sempre più forte di mostrarci, di essere visti, di essere riconosciuti.

Condividiamo i nostri pensieri e le nostre azioni nell’universo virtuale, ma il mondo cosa riceve e cosa capisce?

E prima ancora, sappiamo davvero quale messaggio vogliamo inviare?

Ho un problema con il tempo, lo so. Ho la costante pretesa di usarlo fino all'ultima briciola, dimenticando di lasciare spazio per gli imprevisti, o per il riposo. Non ne faccio un dramma, ribalto la mia agenda per far fronte a un ritardo, o a un'opportunità, ma rincorro sempre la 25esimaora, il tempo per fare le cose, per farle qui e subito. Dimenticando che del tempo bisognerebbe prendersi cura, e che a volte basta solo un secondo.

Qualcuno dice che sono coraggiosa, per come mi butto nelle cose. Qualcuno dice che vorrebbe la mia forza di volontà, per come vado avanti a testa bassa. Io dico che è ben più temerario fare un mutuo, che fare un viaggio da sola.

Di cose irreversibili ce ne sono meno di quante pensiamo, ma davanti a un impegno a lungo termine mi viene sempre un pizzico di ansia.

La mia forza è anche la mia debolezza: quella sorta di fanciullesca incoscienza che mi permette a volte di osare senza vedere del tutto i rischi (o di percepirli in modo differente dalle aspettative comuni), è anche curiosità di esplorare tutte le possibilità a disposizione, che mi fa resistere di fronte all’idea di scegliere nettamente a un bivio.

Un po’ ci gioco, e così anche quest'anno ho scelto un progetto da portare avanti ogni giorno per 365 giorni. 

Effebi Illustration a Spazio Fase - In viaggio con Nicky

A volte un viaggio inizia storto, e finisce peggio. Altre volte niente sembra andare come deve, ma poi funziona tutto, anche se in un modo totalmente diverso da quello che avevi immaginato.

Domenica gli ingredienti per cadere nella prima categoria c’erano tutti.

Il weekend dell’Immacolata, io, un appuntamento a un mercatino di Natale.

Un potenziale disastro ancora prima di uscire di casa, vista la mia nota avversione per tutto quello che ha sapore natalizio. E invece era una giornata di sole, le montagne si stagliavano all’orizzonte, la strada era libera e lo Spazio Fase non era ancora troppo affollato. Tutto bene, insomma. Se non per un piccolo dettaglio: avevo appuntamento con una persona per cui il viaggio non era iniziato così bene, e che era bloccata in autostrada ad almeno tre ore di traffico impazzito.

Eppure Nicoletta di viaggio ne sa qualcosa.

L’avevo conosciuta in primavera grazie a Hub Dot e la volevo incontrare per raccontare di lei e del libro illustrato che racconta (appunto) il suo viaggio intorno al mondo. Insomma, una che senza dubbio ha imparato ad affrontare l’imprevisto anche meglio di me, tanto che ha trovato subito la soluzione perfetta: “Perché non intervisti Federica?”

Natale_Valparaiso_Cerro Alegre_freelance

È arrivato dicembre.

Il mese delle luminarie, dei mercatini, del “se non ci vediamo più inizio a farti gli auguri”. Il mese in cui inizi a riflettere sull’anno passato, sui progetti che avevi e su quello che hai effettivamente realizzato. Il mese dell’ansia del tempo, già veloce nei mesi precedenti e che adesso sembra scorrere come un fiume in piena, che nella sua corsa travolge tutti i programmi, e te nel mezzo.

Ancor più se sei un freelance.

Sono stanca. Sono settimane che prometto e mi riprometto di fermarmi e fare il punto della situazione. Di quest’anno diverso da tutti gli altri, di quest’anno libero.

Essere liberi è bellissimo, ma non è così semplice come sembra.