Una bambina balla in una strada di Akihabara a Tokyo: uno sguardo diverso sul futuro

Nella lingua dei Chamacoco, una popolazione india del Paraguay, la negazione si esprime con il futuro. Per dire “non ti amo” si dice “ti amerò”; per dire “non ti pago” si dice “pagherò”. Dunque adesso non ti amo, non ti pago; cioè “ti amerò”, “ti pagherò”, ma domani, sempre domani, dunque mai. (Claudio Magris, La Lettura #375)

Ognuno ha il suo modo per rilassarsi la domenica pomeriggio.

Io leggo il giornale.

Mi piace il gesto di stendere le pagine ampie per cui serve appoggiarsi al tavolo, o allargarsi comodi sul divano. Cerco di superare il disincanto che accompagna la politica, scorro veloce la cronaca, mi soffermo se qualcosa cattura la mia attenzione. Mi concedo quella che potrebbe sembrare piacevole inutilità, e mi immergo finalmente nell’inserto culturale. La domenica lo assaggio solo, per poi tenerne una pagina al mattino mentre faccio colazione, un’altra mentre mi asciugo i capelli. A volte scopro qualcosa di cui non sapevo niente, altre mi guardo intorno come se chi ha scritto un articolo mi stesse spiando e avesse scelto l'argomento proprio per me.

Quella domenica mattina stavo parlando di futuro con mio fratello.

Anzi, no, non è esatto. Più che altro stavamo parlando di mezzi progetti, di idee, di spunti. Quelli che ti passano nella testa ma non sembrano trovare la strada per uscire da lì, e diventare qualcosa di vero.

Il futuro dei Chamacoco, quello che non si realizza mai.

Be you. Belong. Autenticità è il coraggio di riconoscersi ed essere se stessi.

e.e. cummings lo sosteneva già un secolo fa:

“essere nessun altro che te stesso - in un mondo che fa del suo meglio, notte e giorno, per renderti chiunque altro - significa combattere la battaglia più dura che qualsiasi essere umano possa combattere”

Perché alla fine, cosa vuol dire autenticità?

Oggi siamo più che mai esposti al mondo, nelle interconnessioni necessarie e in quelle che ci scegliamo, nella pressione di corrispondere alle aspettative del contesto e in un bisogno sempre più forte di mostrarci, di essere visti, di essere riconosciuti.

Condividiamo i nostri pensieri e le nostre azioni nell’universo virtuale, ma il mondo cosa riceve e cosa capisce?

E prima ancora, sappiamo davvero quale messaggio vogliamo inviare?

Un mazzo multicolore di tulipani, la bellezza della diversità da coltivare e raccogliere
Foto di Alice Achterhof @alicegrace

La mia parola dell'anno è raccogliere. È il terzo anno che trovo un filo conduttore per i dodici mesi che iniziano, e ogni volta mi sembra di non essere io a scegliere la parola, ma che sia lei a scegliere me. Parto da un'idea, mi immergo nella diversità di etimologie e sfumature, immagino di dirigermi in una direzione e mi trovo in quella opposta.

Raccogliere mi sembrava pretenzioso.

Come dichiarare di voler stare seduta ad aspettare il ritorno di quanto investito. 

Ma raccogliere è un verbo, non un sostantivo. Niente di statico, niente di scontato. 

Una parola che racconta un intero anno: per raccogliere bisogna prima seminare, prendersi cura dei germogli quando sono ancora delicati, affrontare il sole e la pioggia, osservare i frutti per metterli da parte via via che arrivano a maturazione, evitando che possano andare sprecati.

Un bell’investimento.

Ho un problema con il tempo, lo so. Ho la costante pretesa di usarlo fino all'ultima briciola, dimenticando di lasciare spazio per gli imprevisti, o per il riposo. Non ne faccio un dramma, ribalto la mia agenda per far fronte a un ritardo, o a un'opportunità, ma rincorro sempre la 25esimaora, il tempo per fare le cose, per farle qui e subito. Dimenticando che del tempo bisognerebbe prendersi cura, e che a volte basta solo un secondo.

Qualcuno dice che sono coraggiosa, per come mi butto nelle cose. Qualcuno dice che vorrebbe la mia forza di volontà, per come vado avanti a testa bassa. Io dico che è ben più temerario fare un mutuo, che fare un viaggio da sola.

Di cose irreversibili ce ne sono meno di quante pensiamo, ma davanti a un impegno a lungo termine mi viene sempre un pizzico di ansia.

La mia forza è anche la mia debolezza: quella sorta di fanciullesca incoscienza che mi permette a volte di osare senza vedere del tutto i rischi (o di percepirli in modo differente dalle aspettative comuni), è anche curiosità di esplorare tutte le possibilità a disposizione, che mi fa resistere di fronte all’idea di scegliere nettamente a un bivio.

Un po’ ci gioco, e così anche quest'anno ho scelto un progetto da portare avanti ogni giorno per 365 giorni.