Pedalare in mezzo ai girasoli: bellezza sotto casa, la mia ricarica di energia :)

Le mattine in cui fatichi a trovare l’energia per partire le riconosci subito: spegni la sveglia una volta in più, accorci l’allenamento che avevi programmato, ti sembra di muoverti a ritmo ridotto e prima di sederti alla scrivania non sai come sia possibile che siano già le dieci. Ma mercoledì scorso era diverso. Era peggio. Distratta e incapace di stare ferma, mi alzavo e risedevo, saltavo da un’attività all’altra senza finirne nessuna. Finché mi sono arresa. Mi sono sdraiata sul divano e ho chiuso un attimo gli occhi. Mi sono svegliata dopo un’ora, non ricordavo l’ultima volta che era successo

Normalmente mi sarei sentita in colpa, nell’abitudine a spingere ancora, a trovare sempre e comunque l’energia per andare avanti, per arrivare alla meta che mi ero prefissa.

Stavolta, invece, mi sono sentita più che altro sciocca per non essermi fermata prima.

Perché come puoi pensare di andare avanti, se prima non hai verificato di aver riempito il tuo serbatoio di energia?

Ricordo perfettamente la prima volta che ho visto The Matrix. Fino a quel momento il mio incontro con la fantascienza era stato mediato da mio padre, appassionato di classici, che poco più che bambina mi aveva passato la Trilogia della fondazione di Asimov e mi aveva fatto vedere 2001 Odissea nello Spazio. Non stupisce che dopo quelle esperienze - culturalmente elevate ma non certo agevoli come percorso di avvicinamento al genere - avessi lasciato cadere la cosa. The Matrix, però, era stata una folgorazione.

Come ritrovare un pensiero che nemmeno sapevo di avere, ma che era sempre stato in sottofondo.

Pillola rossa o pillola blu, la sicurezza della comfort zone o la verità che si apre fuori dai confini delle abitudini. La realtà come illusione messa a confronto con la comodità di accettare la storia che ci viene raccontata.

A vent’anni tutto è bianco o nero così, era chiaro, mi schieravo tra quelli che non potevano accettare la scatola che limita dalla possibilità di reinventarsi, quella in cui crediamo di muoverci liberamente mentre siamo sospesi, addormentati, senza nemmeno immaginare che ci sono scelte alternative. Oggi non ho cambiato opinione sulla voglia di uscire dalla scatola, ma ho cambiato punto di vista sulla responsabilità di ciò che non vediamo.

Nessuno ce l’ha raccontata, tutt’al più ce la siamo lasciata raccontare, spesso ce la siamo raccontati da soli. 

Al liceo la fisica mi sembrava una grande fregatura. Alla prima lezione mi avevano illuso che in quelle formule avrei capito il funzionamento del mondo, alla seconda già mi dicevano che però dovevo considerare un sistema ideale, in cui punti senza peso e senza dimensioni si muovevano in uno spazio senza aria e senza gravità. Un interessante esercizio teorico, ma io volevo capire come funzionavano davvero le cose.

Di quelle formule ricordo ben poco, ma in questi giorni ogni tanto ci penso.

Per settimane ho rallentato e rallentato, e adesso cavoli se la sento, l’inerzia che rende difficile riprendere il movimento.

Principio d’inerzia: un corpo permane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme a meno che non intervenga una forza esterna a modificare tale stato.

Mi sento proprio così. Magari non ferma, ma certo frenata. Come se ogni azione richiedesse una quantità di energia superiore al consueto. Un'energia che fatico a ritrovare.

Ormai ci è chiaro che la forza di volontà porta solo fino a un certo punto, se dietro non c'è un forte perché. Quando ho deciso di lasciare il ruolo in azienda, ma mia motivazione era piuttosto evidente. Cercavo libertà di movimento. Intesa in senso fisico, nella scelta del quando e del dove, del tempo e dello spazio da dedicare al lavoro. Ma, forse ancora di più, intesa come libertà di pensiero, di poter immaginare qualcosa di mio, di costruirlo da zero, di sviluppare progetti per esprimere le mie idee, il  mio punto di vista, la mia creatività

Volevo creare qualcosa che non esisteva, vedere l'impatto che potevo portare attorno a me, il cambiamento a cui potevo contribuire.

Era la prima volta che pensavo seriamente a me stessa come un progetto. Che necessita del giusto tempo, della giusta prospettiva. Come in un viaggio ho cercato di studiare in anticipo il paesaggio in cui mi sarei mossa, per essere preparata senza irrigidirmi in un itinerario troppo stringente, pronta a rimboccarmi le maniche per affrontare gli imprevisti.

Avevo previsto l'entusiasmo e gli ostacoli, le vittorie e le battute di arresto. Credevo che la paura sarebbe stata bilanciata dalla felicità di esprimersi, dall’orgoglio di indirizzare la propria strada, seppur accidentata.

Tanto per cambiare, l’avevo fatta un po’ troppo facile, e mi ero dimenticata qualche pezzo.

Non avevo messo in conto che più che aiutare a superare la paura, molto spesso la creatività è lei stessa fonte di paura.