La prospettiva dell’adattamento
10 Novembre 2020
“Non sopravvive la specie più forte, ma quella che mostra maggiore capacità di adattamento.”
L’avevo letta mille volte, questa frase. Ma solo stavolta mi ha colpito così. Sarà che nelle ultime settimane, ma pure negli ultimi mesi, di capacità di adattamento ne abbiamo dovuta tutti mettere in campo molta più del solito.
Mi sentivo molto brava, per la mia capacità di assestare qualche spallata alla mia comfort zone, per allargarla quel tanto che era necessario.
Più che altro, probabilmente, sono stata fortunata. Fino a oggi, la storia che raccontavo a me stessa ha tutto sommato funzionato, e anche quando mi è capitato di scoprire che quella che credevo essere una verità chiarissima in realtà era solo il mio punto di vista, dopo il primo stupore sono (spesso) riuscita a integrare la nuova informazione nella mia mappa mentale.
Alla fine, però, forse di capacità di adattamento non ne avevo tanta come pensavo.
O, più precisamente, non l’avevo mai veramente esercitata. E tutti i cambiamenti che ho fatto, dalla brava bambina alla viaggiatrice solitaria, dalla ragazza in carriera alla libera professionista? Be’, un conto è scegliere, e poi mettersi a testa bassa a inseguire il proprio obiettivo. Un altro è trovarsi di fronte a un ostacolo, provare ad aggirarlo, ad arrampicarcisi sopra, ad abbatterlo. Sperando che la soluzione sia dall’altra parte, già bella pronta e impacchettata.
La cosa, infatti, funziona finché niente e nessuno va a toccare le fondamenta su cui contiamo.
Tipo, il lavoro è sempre stato la mia comfort zone. Sono capitata per caso in un settore che nemmeno immaginavo, quando all’università avevo scelto di studiare lingue, e mi sono sempre sentita una privilegiata nell’aver trovato un ruolo che mi faceva svegliare (quasi) ogni mattina pensando “Cosa ho da fare oggi di bello?”. Ho incontrato persone di ogni genere, sono stata scelta per progetti in cui potevo mettere in gioco allo stesso tempo razionalità e creatività, ho imparato e ricevuto moltissimo, ho cercato di dare e mettere sempre il massimo che potevo.
Mi sono potuta permettere di scegliere, di creare, di proporre, di sviluppare.
Poi, per mesi, una brusca frenata.
Le aziende avevano altro a cui pensare, avevano urgenze che mettevano in secondo piano i progetti di lunga prospettiva, importanti ma meno pressanti. Le persone avevano già il loro da fare, cercando di adattarsi alla distanza, all’incertezza, alla gestione di nuovi equilibri più delicati e complicati che mai.
E io mi sono incastrata.
Se vacilla quello in cui sai di essere brava, che alternative hai?
Non ne vedevo nessuna, e ancora peggio, non vedevo quanto mi ero irrigidita sulla mia convinzione. Altro che adattamento.
Non sono un formatore, figuriamoci a distanza.
Me lo ripetevo mentre preparavo slide, mentre parlavo con il cliente, mentre guardavo i partecipanti cercando di cogliere un segno di noia, uno sguardo alla ma-chi-ce-l’ha-mandata-questa. Con tutto il mio parlare di prospettiva, di ripensare, non riuscivo proprio a spostare il mio sguardo. Continuavo a ragionare sul “per adesso”, sul “nel frattempo”.
Continuavo ad accontentarmi, nel senso peggiore del termine.
Poi sono sopravvissuta a una tre giorni di formazione, anzi ricevendo domande e ringraziamenti. Poi A. mi ha ascoltato, ha cercato di farmi ragionare, ha capito che non riuscivo a vedere fuori dal muro che avevo provato a costruirmi tutto attorno e non ha forzato oltre. Poi la volta dopo le tre giornate di docenza sono andate anche meglio, e ho iniziato a mettere in dubbio la frase che nonostante tutto mi girava ancora in testa.
Forse non era così certo che la mia vocina interna avesse ragione.
È stato come se all’improvviso vedessi quante cose non guardavo, ma solo incasellavo per partito preso. Non voglio, non posso, non sono capace, non mi piace.
In realtà stavo confondendo il come con il perché.
“In questo momento quello che possiamo fare è concentrarci meno sulle cose a cui dobbiamo rinunciare, e pensare invece a tutte quelle che abbiamo”
Uno di quei segreti tanto scontati quanto difficili da mettere in pratica. D’altra parte, la fregatura dell’incertezza è che ci convince che non possiamo scegliere, che non possiamo farlo ora, che dobbiamo aspettare un fantomatico momento giusto.
Ma l’unica scelta “sbagliata”, probabilmente, è proprio quella di rifiutare quello che è. Di impuntarci, invece che ammorbidirci.
Di resistere, invece che adattarci.
“Volere è potere”, dicono. Il che non significa poter fare tutto, se fare tutto è illuderci di poter superare anche i problemi gravità.
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