Kit di pronto soccorso (emotivo)

Gli astronauti si allenano tutta una vita. D’altra parte chi non ha mai immaginato di partire su un razzo e scoprire cosa significa librarsi in aria senza peso? In questi giorni sono tra i più gettonati per raccontarci cosa vuol dire, dal punto di vista pratico ed emotivo, stare chiusi in uno spazio ristretto. Non ci avevo pensato, ma in effetti vivere in una capsula sospesa in orbita intorno alla terra è probabilmente l’esperienza più simile a questo (ulteriormente prolungato) stare chiusi dentro casa.

C’è però una differenza sostanziale.

Essere confinati in uno spazio limitato, sempre lo stesso, giorno dopo giorno, sembra loro un prezzo che vale la pena di pagare senza pensarci due volte, per realizzare il loro sogno.

A noi, un po’ meno.

Dopo un intero mese di “distanziamento sociale”, ciascuno di noi ha acquisito la propria temporanea routine di normalità alternativa – sostanzialmente simile a quella che avevamo fino a qualche settimana fa o radicalmente diversa che sia. Abbiamo imparato a memoria le raccomandazioni per prenderci cura della nostra salute, non ci siamo mai lavati tanto le mani né abbiamo mai cucinato tanti piatti diversi. Ci siamo fatti prendere dall’entusiasmo di tutto questo tempo a disposizione, che ci offre (forse) la possibilità di dedicarci a tutte quelle cose che finora avevamo lasciato da parte perché “Non avevamo tempo di”.

Scorrendo qualche numero statistico, pare facciamo un sacco di attività fisica (o per lo meno ci siamo attrezzati per poterla fare). Riempiamo un po’ più il carrello, come se avessimo il timore di restare senza (cosa di preciso, chissà. Probabilmente gli ingredienti per la pizza). Ci siamo organizzati per ricreare il più possibile le nostre abitudini sociali, e aperitivi, cene e festeggiamenti online sono ormai la norma (come si vede dal traffico dati, ma anche dal percepibile aumento nella vendita di vino e birra). Possiamo scoprire virtualmente mostre e monumenti (che eravamo troppo pigri per visitare), stiamo recuperando tutti i film che volevamo vedere e finiamo una serie a weekend (che poi non sempre è così facile distinguere dagli altri giorni della settimana).

Ci occupiamo (a vario titolo) del nostro corpo e della nostra mente. Ma quanto pensiamo al nostro benessere emotivo?

Io, personalmente, parecchio.

Sono in casa da sola, e secondo le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità mi sto comportando piuttosto bene, nei confronti della mia salute mentale. Mantengo il collegamento con la rete di contatti. Ho definito la mia routine. Mi alleno, leggo, scrivo, studio. Cerco di tenere le cose in prospettiva

Però, posso dirlo? A me non basta.  

Ho come l’impressione che mi serva un “Pronto Soccorso Emotivo”. E magari non è utile solo a me.

Parlare di cura del proprio benessere emotivo non è scontato. Anche se nella memoria di ciascuno sono ben impressi momenti in cui la sua salute psicologica è stata messa alla prova, non abbiamo per le ferite emotive lo stesso rispetto che abbiamo per le ferite fisiche. Ci vergogniamo di “non sapercela cavare da soli”, nascondiamo il nostro disagio come se fossimo noi a non essere all’altezza. Mentre non ci sogneremmo mai di trattenerci dal chiedere aiuto quando ci rompiamo una gamba.

Guy Winch, psicologo e psicoterapeuta, conosce bene questa sensazione. Perché la vede nei suoi clienti, ma prima di tutto in se stesso. Viene da qui l’idea di un kit per prendersi cura del proprio benessere emotivo, utile più che mai in questo momento in cui dovremmo ricordare che la solitudine

crea una ferita psicologica profonda, che distorce le nostre percezioni e ci confonde i pensieri. Ci fa credere che, a chi è intorno a noi, importi meno di quanto sia in realtà. 

In questo momento ci sentiamo tutti un po’ soli. Che siamo in casa con una famiglia, con un gatto, o solo con i nostri pensieri.

Perché il paradosso è che per chiedere aiuto dobbiamo riuscire a credere che non verremo respinti, e quando niente attorno a te sembra far parte del paesaggio, interiore ed esteriore, a cui sei abituato, credere è piuttosto difficile.

La paura si basa sul passato, si proietta al futuro.

Ci fa ripiegare su noi stessi, perché l’ipotesi di non essere accolti ci appare insopportabile. Ma se questo era un meccanismo poco efficace qualche settimana fa, lo è in maniera esponenziale in questo momento in cui le categorie che davamo per scontate sono saltate.

Tre strumenti per affrontare questa tempesta ce li suggerisce allora Elizabeth Gilbert, autrice di Mangia, Prega, Ama, in un recentissimo TED Live dal significativo titolo “È normale sentirsi sopraffatti – ecco cosa si può fare

Opporre alla paura l’intuizione, intesa come stare nel momento presente, cogliendo pienamente i segnali che attraverso cui decodificare quello che accade, senza lasciarci condizionare troppo da quel passato e quel futuro che solo ci illudiamo di conoscere.

Guardare alle nostre emozioni con curiosità e compassione, nel suo senso più pieno di accogliere con cura e sospendere il giudizio.

E non lasciare che la nostra inquietudine ci spinga a tentare di sfuggire a quest’esperienza che ci sta necessariamente trasformando. Anche perché, mi viene da aggiungere, possiamo tentare di fuggire, ma dubito avremmo successo.

Forse dobbiamo fare il contrario.

Fidarci, meglio ancora affidarci.

Perché se penso al mio benessere emotivo, proprio io che sono così attenta a far rispettare i miei confini personali, penso soprattutto al tatto che ci è negato, alla prima carezza che potrò ricevere, che potrò dare.

Così, portandomi a letto, sperando ardentemente di sognare mani che si occupino di me […] immagino che questa sarà la cosa che dovremo imparare da capo. Toccare, accarezzarsi, premere infinitamente, trattenere infinitamente, così da far durare noi stessi e gli altri il più a lungo possibile”.

Laura Cerioli
laura.cerioli@yahoo.it

People Partner | HR Transformation | Leadership Development. Lavoro a supporto di aziende in crescita, in quella delicata fase di passaggio che richiede di rivedere, ottimizzare e sistematizzare i processi interni dedicati alla gestione e allo sviluppo delle persone.

2 Comments
  • IVANO CASO
    Posted at 13:46h, 14 Aprile Rispondi

    Grazie per questa parole che fanno da salvagente in una marea senza tempesta

    • Laura
      Posted at 09:42h, 15 Aprile Rispondi

      Grazie a te Ivano, anche per questa bellissima definizione della sensazione in cui siamo – mare che appare calmo e piatto, come il silenzio delle città. La sensazione di una minaccia invisibile ma non per questo meno presente. Proviamo a essere gli uni il kit di supporto degli altri 🙂

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