Ogni percorso iniziatico passa attraverso un qualche tipo di illuminazione, ma più che altro la mia settimana nella prefettura di Ehime è illuminata dal sole.

Un sole estivo, di quelli che al mattino rendono più semplice la partenza e a mezzogiorno invitano a una sosta all'ombra. È bello camminare così, anche se tornerò a casa con il volto e le braccia color biscotto e il resto del corpo pallido come sempre.

Con il passare delle settimane l'arrivo del giorno si è visibilmente anticipato, e così posso godermi l'ora che preferisco: quella poco dopo l'alba, in cui le città si stanno ancora svegliando, i ragazzi vanno a scuola in bicicletta, le persone si affacciano incuriosite al tuo passaggio.

Cammino nella luce che diventa più intensa, mi godo i paesaggi che cambiano e i miei pensieri che li seguono.

Fino a un attimo prima era una vacanza, e all’improvviso è diventato un viaggio. E il viaggio sgomita, perché vuole dire la sua e non si accontenta di attenersi a un programma che è stato deciso prima, quando ancora non avevi messo piede sul posto e quindi, fondamentalmente, non ne capivi niente.

È come se ci fosse un timer che scatta in automatico.

Il carattere del viaggio sembra spesso scorbutico. Ma di solito ha ragione: di quanti luoghi avevamo la sottile sensazione di conoscerli, solo per averli visti in un film, in fotografia o leggendo una guida?

Ecco, il viaggio entra con una spallata quando decide che è arrivato il momento di farti capire che le cose non sono esattamente come te le avevano raccontate, o te le eri raccontate.

Shikoku_Cape Muroto_Sunset

La seconda parte del Cammino, quella che attraversa la prefettura di Kochi, è chiamata Shūgyō – indica cioè un passaggio di austerità e disciplina. Guardavo la mappa, e mi chiedevo perché.

Certo, in confronto ai giorni precedenti, in cui la contiguità dei numerosi templi cittadini aveva permesso un'abbuffata di ben 22 soste in una sola settimana, qui le distanze si fanno ben diverse. Se già la città ha via via lasciato spazio a un paesaggio più rurale, di risaie e abitazioni che sembrano cristallizzate al Periodo Edo, adesso si prospettano orizzonti silenziosi a perdita d'occhio.

Guardo la linea dei passi futuri, che sembra giocare con la linea costiera, e mi chiedo -

Una volta sopravvissuta ai primi henro korogashi, quale durezza può derivare dal mare?

La prima parte del Cammino degli 88 Templi, quello che attraversa la prefettura di Tokushima, viene definito la fase del risveglio.

Non so esattamente quale sia il significato per chi questo circuito lo fa seguendone il senso religioso, ma so cosa significa per me. Il cammino è sempre un risveglio: dal torpore di un corpo accessorio, dai sensi che hanno imparato ad attenuare l'intensità degli stimoli esterni per non venirne travolti. Inizi con un  po' di rodaggio, e poi sei pronto a vedere dove sanno portarti le gambe.

Affronto i primi due giorni andando allo sbaraglio, uscendo al mattino con in testa un piano molto vago e con l'unica certezza di dove dormirò la sera.  Aspetto pazientemente autobus di cui non sono certa di aver capito la destinazione, osservo più gli altri passeggeri che la fermata successiva. Sono qui per camminare, ma non solo. Se fosse solo quello forse avrebbe ragione chi chiede, velatamente o in maniera più diretta, cosa sono venuta a cercare che non potevo avere senza attraversare mezzo mondo.

Sia come sia, anche questo percorso inizia come gli altri, con quel brivido che sento mentre scendo dall'ultimo mezzo di trasporto, quello che mi ha condotto fino alla linea di partenza da cui mi metterò finalmente in marcia. E con il segno che accompagnerà miei prossimi passi, il pellegrino rosso che mi fa sorridere per come assomiglia a quello francigeno, non fosse per il cappello a pagoda che corona la sua silhouette.

Che poi io parta dal tempio numero 13, invece che dall'uno, è un'altra storia, il cui perché sarebbe complicato da spiegare oggi.