Caro 2018, stai per arrivare e come sempre ti aspetto piena di curiosità. Lo sai, sono sempre stata una che raggiunge gli obiettivi. Brava a scuola, efficace nel lavoro. Una di quelle per cui l’idea di non portare il risultato non è nemmeno contemplata.

Solo che non era detto che fossero i miei, di obiettivi.

Era il primo weekend del Master in Coaching di Accademia della Felicità e l'esercizio che stavo facendo mi obbligava a chiedermi se la direzione in cui mi stavo muovendo tanto velocemente era realmente quella in cui volevo andare.

I buoni propositi, quelli non funzionano mai.

Londra non era prevista.

Anche se c’era, in un angolo, il pensiero che tutto sommato avrei potuto approfittare dello scalo per una giornata in città. Prendere un volo alla sera, per rivederla anche solo qualche ora. Giusto pochi giorni prima mi ero resa conto che sono cinque anni che non ci mettevo piede, da quel weekend con mia sorella (quella vera) e mia sorella (quella per anzianità di sopportazione). Tre giorni di vento, tè delle cinque, chiacchiere, un musical, stupore da bambine nei corridoi di Harrod’s, pranzi al pub.

Non ho ancora capito se l’universo mi ascolta anche troppo o se ha uno strano senso dell’umorismo.

Viaggiare è una perfetta una terapia d’urto per risvegliare sensi intorpiditi, quando tutto ci sembra piatto e poco interessante.

Per interpellare il gusto non c’è nemmeno bisogno di andare lontano.

È un percorso che parte semplicemente con le materie prime, quelle che non hanno attraversato centinaia di chilometri per raggiungere gli scaffali, il pranzo che inizia con il salame del piccolo produttore del paese e finisce con una crostata preparata con le pesche delle piante dell’orto. Le culture differenti, che sia andando lontano o incontrandole sotto casa, lo solleticando offrendo spezie, consistenze, prodotti che non gli sono familiari.

L’olfatto l’ho scoperto alla prima vacanza in moto.