Tra il dire e il fare - Puerto Natales Chile

C’è chi sostiene che il mondo si divida nettamente tra chi cerca la sicurezza e chi l’avventura. Tra lo stare e l'andare.

Nel mondo lavorativo fino a qualche decennio fa era sostanzialmente vero, nella distinzione tra dipendenti a-tempo-indeterminato-manco-fosse-un-matrimonio e imprenditori, raccontati come sognatori che lavorano duro per godersi la bella vita.

Poi i matrimoni hanno iniziato ad essere meno per sempre, e i lavori anche. A volte per caso, a volte per scelta. Aver dato per scontato che saremmo rimasti tutta la vita da uno dei due lati della barricata si è dimostrata una visione poco realistica

Il mercato si evolve. Abbiamo aspettative ben diverse rispetto a quelle dei nostri genitori qualche decennio fa. Insomma, oggi non possiamo né vogliamo attraversare il nostro percorso lavorativo affidandoci al pilota automatico.

Ma una volta che hai individuato la direzione in cui vuoi muoverti, che si fa per iniziare? 

"Ti scrivo per chiederti: dal momento che hai deciso di cambiare vita, non hai paura, anzi terrore, di non riuscire a guadagnare a sufficienza per mantenere te e le tue passioni?”

Da quando ho aperto il blog, mi capita di aprire la posta e trovare un messaggio da una persona che non conosco. A volte, una domanda come questa.

È una delle cose che mi rende più felice, vedere che le mie parole diventano un dialogo. Anche quando la domanda non è semplice. Forse proprio perché la domanda non è semplice.

Così rileggo le due righe, e quelle che seguono. Mi fermo, ci penso.

E poi rispondo che no, non ho paura.

Caro 2018, stai per arrivare e come sempre ti aspetto piena di curiosità. Lo sai, sono sempre stata una che raggiunge gli obiettivi. Brava a scuola, efficace nel lavoro. Una di quelle per cui l’idea di non portare il risultato non è nemmeno contemplata.

Solo che non era detto che fossero i miei, di obiettivi.

Era il primo weekend del Master in Coaching di Accademia della Felicità e l'esercizio che stavo facendo mi obbligava a chiedermi se la direzione in cui mi stavo muovendo tanto velocemente era realmente quella in cui volevo andare.

I buoni propositi, quelli non funzionano mai.

La cholita continua a passare pacchi, il guidatore li incastra in un castello colorato che si innalza sopra alle fondamenta costituite dalle valigie degli altri passeggeri.

Penso che nel mio ultimo trasloco c'era meno roba.

Seguo lo sguardo poco convinto di uno degli altri viaggiatori e concordo che sì, la regolamentazione sul carico massimo trasportabile non deve essere in cima ai pensieri dell’autista. Per non parlare della sagoma, avvolta strettamente nella cerata blu.

Poi, il colpo di scena. Non ci sono abbastanza posti a sedere.

La cholita cerca di convincere l'autista a far stringere gli altri passeggeri. Lui è dubbioso. Gli sguardi sono eloquenti.  Nessuno pensa di poter di passare sei ore di tornanti più stretto di quanto già sia, con il bagaglio a mano in grembo e a malapena il posto per le gambe. Così la danza riprende. I pacchi colorati scendono uno alla volta. Io spero che non ci finisca in mezzo anche il mio zaino, cerco di guardare dallo specchietto retrovisore. Finalmente, si parte.

Ma alla fine, esattamente, perché sono finita su questo minibus sperando che non si ribalti alla prima curva?

Fermi, in silenzio, ci scrutiamo.

Noi dietro al parabrezza, lui ben piantato in mezzo alla strada. Come nella più classica delle rappresentazioni lui, l'asino, mantiene cocciuto la sua posizione. E noi, tre tedeschi e un'italiana saltata all'ultimo sull'auto, non sappiamo esattamente come comportarci.

Ci avevo provato, a capire se era possibile arrivare a Cachi da Cafayate. Impossibile con i mezzi, il colectivo arriva fino a Molinos da un lato e ad Angastaco dall’altro. In mezzo, quaranta km raccontati come meravigliosi e selvaggi. I tour, certo. Accettando qualche compromesso in termini di gestione dei tempi del viaggio e di prezzo. Ma che non partono per una sola persona. Insomma, una piccola avventura.

E poi quel mattino, facendo colazione, sento i tre seduti al tavolo a fianco che nominano Cachi. Esito. Ho già pagato la stanza per la notte, ho già il biglietto per Salta per la mattina successiva. Però.

Chissenefrega.

Povera Comfort Zone. Attaccata da ogni lato. E’ tutto un fiorire di

La magia accade fuori! Salta! Prova!

Il che è verissimo, ci mancherebbe. Credo nell’evoluzione, nella crescita e nella possibilità di scegliere. Credo nell’impegno da mettere nelle cose che desideriamo, se davvero vogliamo realizzarle.

Anzi, il cambiamento mi piace. Il momento in cui ti affacci su qualcosa di nuovo ha un brivido tutto suo, in cui la mia indole curiosa non vede l’ora di tuffarsi. Perché all’inizio, è tutto bellissimo. Il senso di libertà, ritrovare o scoprire aspetti di noi che avevamo messo da parte o che non avevamo mai espresso. Imparare, creare, vedere il mondo con occhi nuovi.

In questa fase, ti sembra impossibile essere stato fermo per così tanto tempo. Ogni piccolo risultato ti sembra la conferma chiara ed evidente che hai fatto bene a cambiare. Anzi, ti chiedi chissà perché hai aspettato fino ad adesso. Sorridi e ti guardi intorno, pensando a cosa si perdono tutti quelli che ancora non hanno fatto questo passo.

Qualche mese fa mi è venuta voglia di provare a disegnare. Non era uno dei miei passatempi da bambina. Mi rivedo sdraiata sul pavimento a costruire città e storie con i mattoncini. Ricordo infiniti pomeriggi ad esplorare il mondo al di là del muro di cinta, che scavalcavo attratta come da una calamita dal senso di mistero di ciò che non avevo ancora visto. O immersa nei libri di mia madre da ragazzina, immagine anche questa sconosciuta e lontana, di cui cercavo indizi in quelle pagine che aveva letto qualche decennio prima di me. Non mi sono mai considerata una persona creativa. Probabilmente perché associavo a questa parola l’idea di una legittimazione legata al riconoscimento pubblico ed economico. Chi ti credi di essere? Cosa credi di avere di così eccezionale? Non sei un genio e con la creatività non ci camperai mai, quindi puoi anche lasciar perdere prima di iniziare. Nessuno me lo ha detto in maniera esplicita, ma in qualche modo è quello che ho assorbito dall’ambiente in cui sono cresciuta. Bisogna studiare per avere bei voti, scegliere un lavoro solido, avere un obiettivo pratico. Dedicare le proprie energie a qualcosa di produttivo. Ed è esattamente quello che ho fatto. Poi un giorno sono tornata a casa con un album di fogli bianchi, una matita e una gomma. Ho cercato online un manuale con qualche spunto da cui partire. E ho iniziato. È strano, mettere mano ad un’attività dimenticata da chissà quanto tempo. È strano, mettere mano a qualcosa senza chiederti quale sarà il risultato. Ma è anche molto liberatorio, e mi ha insegnato parecchie cose.

  Suona familiare? Tante, troppe volte, quando devi  passare dal pensare al fare, in automatico scatta la tentazione di rimandare l’inizio dell’azione vera e propria. A domani, alla primavera, a quando avrò tempo, a quando sarò pronta. C’è chi dice "non ho ancora una pianificazione ben definita" e chi deve prima sentire un altro parere, per capire quale sia “il modo migliore per”. C'è chi sa che d’inverno non riesce ad essere costante nell’attività fisica e chi vuole rivedere un’ultima volta quel dettaglio del testo. Ognuno ha la propria tecnica preferita, per continuare a rimandare.