San Quirico d’Orcia — Radicofani, 32 km

Step by step/ I’ve come closer to reaching the top/ Every step must be placed so that I don’t fall off… (No Doubt)

La strada che porta a Radicofani è il tappone di montagna con arrivo in salita del pellegrino francigeno. Tutti ne parlano con reverenza, rispetto, a volte quasi timore. E venne il giorno.

Effettivamente quando all’improvviso la rocca si staglia in lontananza sulla vetta del colle, la reazione è duplice: da un lato la sensazione positiva di vedere la propria destinazione. Dall’altro la consapevolezza di quanto questa destinazione sia lassù. Molto, molto, molto lassù.

 

Lucignano D’Arbia – San Quirico D’Orcia, 33 km

Io/ camminerò/ tanto che poi/ i piedi mi faranno male..

La prima volta che ho provato ad affrontare un Cammino, ho incontrato un organizzatissimo gruppo di friulani che mi ha prontamente adottato per i giorni successivi. La più agguerrita tra loro era un’arzilla ultra cinquantenne che, oltre ad avere nel proprio palmares diverse Marathon des Sables e altre amenità simili, portava sulle spalle uno zaino che avrebbe probabilmente stroncato anche un 25enne ben allenato. Nello zaino era contenuto tutto ciò che la signora riteneva strettamente indispensabile per il percorso. Compreso un catino e un kg di sale grosso per il pediluvio serale. Ora, forse non mi sento di adottare lo stesso approccio purista, ma diciamo che, in questo momento, quanto meno le chiederei volentieri in prestito il catino.

Monteriggioni – Lucignano D’Arbia, 37km… +2

Sembra un paradosso, ma ogni volta che ci si mette in cammino il tempo sembra dilatarsi proprio mentre rallenta il movimento. Arrivi a sera e pensi che, anche se ti sei spostata solo di qualche decina di chilometri, è quasi come se avessi vissuto più volte la stessa giornata.

Milano – Empoli – Castellina in Chianti – Monteriggioni

Una mattina come tante altre. Uscita con la divisa d’ordinanza, un abitino e la borsa del computer, il badge e le chiavi della macchina. Ma nello stomaco la sottile agitazione di ogni vigilia, come se ogni partenza fosse un regalo da scartare. Perché per me ogni partenza *è* un regalo da scartare.

Le ore della mattina scivolano rapide, pregusto il viaggio in treno che mi condurrà a replicare quel rituale di semplificazione che ha preso corpo con la preparazione della borsa. Smetto i panni ufficiali e mi infilo in quelli del viandante. Controllo ancora una volta i biglietti, la mappa del percorso, la Credenziale. Allaccio le scarpe, carico lo zaino. Ora di chiudere la porta di casa. Nonostante il peso, mi sembra che il passo sia già più elastico.

Le FS fanno la loro parte per rendere una piccola avventura anche questa fase di avvicinamento. Alta velocità fino a Firenze, poi si esce dalla direttrice patinata frequentata da turisti e clienti business per spostarsi in una realtà più vera, coi suoi treni di modernariato, tra pendolari che sono indecisi se sognare di riuscire a sedersi o di arrivare in orario.

Per fortuna pare che oggi ci sia toccata la seconda opzione: il regionale è affollato ma procede regolarmente, depositandomi ad Empoli quasi in perfetto orario. E qui, mi allontano un altro passo da quel ritmo frenetico che sto per dimenticare. Sul binario cinque mi aspetta una littorina, due vagoni con le finestre a ghigliottina che solo il capotreno può aprire e una sfilza di fermate che evocano colline a perdita d’occhio: Granaiolo, Certaldo, Poggibonsi, Barberino in Val D’Elsa..

Osservo le nuvole fuori dai finestrini, il sole scalda ma non mi sembrano del tutto innocue. Al momento, confesso che il meteo è l’unico elemento che mi da qualche preoccupazione. So cosa vuol dire camminare sei ore sotto la pioggia. E, potendo, eviterei volentieri. Ma so anche che camminare significa imparare ad accettare la giornata che ti capita. Per lo meno, ad accoglierla. Fa sperimentare nel modo più diretto cosa significa «Se non c’è soluzione, a che serve preoccuparsi?», offre un ottimo esercizio per smorzare il desiderio di tenere il più possibile sotto controllo ogni aspetto della nostra vita.

Scendo dal treno e per un’istante mi sento persa. Non so perché mi ero convinta che avrei visto da lontano le mura e le torri di Monteriggioni ad indicarmi la direzione. Invece i miei primi passi sono meno romanticamente sul ciglio della Cassia, con le auto che sfrecciano a una spanna.

Per fortuna, solo per poco. Una sterrata lungo il fiume, il profumo dei fiori, una curva, ed eccola.

La strada bianca si inerpica, attraverso la Porta di Ponente, sono a Monteriggioni, punto di partenza del mio percorso.

Domani, verso Siena e oltre.

Giorno zero, 297 km a Roma.