Scrivo preparando lo zaino, e quando la prima persona leggerà queste righe sarò dall’altra parte del mondo. Dentro allo stomaco sento mescolarsi l’agitazione e la quiete che provo di fronte a un nuovo lungo viaggio, l’emozione dell’attesa e la costante domanda se sia giusto, se si possa fare, se me lo merito. In pratica, la mia definizione di vulnerabilità.

Ho sentito parlare per la prima volta di Brené Brown tre anni fa. Quando Eloisa mi aveva suggerito quel TED Talk da decine di milioni di visualizzazioni, lo avevo cercato subito: avevamo iniziato il master solo da qualche settimana, ma lei e io ci eravamo riconosciute immediatamente. Un traccia comune in tanti snodi dei rispettivi percorsi, la stessa curiosità di scoprire qualcosa di nuovo. Sapevo che mi potevo fidare di un consiglio che arrivava da lei, ma non sapevo ancora quale traccia avrebbe lasciato.

Nel video avevo scoperto una texana che parlava in modo appassionato di una parola che facevo fatica anche solo a pronunciare.

Vulnerabilità.

Camminare tra mente e corpo - Giappone_Tokyo, Hibiya-koen

Ci sono cose che pensi di aver studiato a scuola, ma che nella vita reale non c’entrano molto con la teoria dei libri di testo. E stavolta non parlo della fisica, con quelle eleganti equazioni perfette solo in un mondo ideale. Penso alle parole, quelle a cui diamo corpo una sillaba alla volta, che mettiamo (o mettevamo? Chissà se si fa ancora) in fila su fogli protocollo piegati a metà per il lungo. Per poi magari scoprire all’improvviso che anche loro non hanno lo stesso senso che trovi scritto sul dizionario.

Non per tutti, almeno.

A volte ce ne accorgiamo leggendo, quando una frase ci lascia sospesi, quasi a guardarci attorno per verificare se abbiamo capito bene.

"L’atto di camminare, perfettamente sensibile e sensuale, provoca uno spaesamento delle routine sensoriali, implica la certezza di sorprendersi costantemente e di rinnovare nel significato e nei valori i propri punti di riferimento lungo la strada"

Prendersi cura del tempo - Arequipa Monastero di Santa Catalina

Ci sono giornate che nascono storte. Guardi l’agenda che ti racconta senza esitazioni la lista delle cose da fare. Mentre tu hai solo voglia di perdere tempo.

Di solito quando mi capita inizio a guardarmi intorno e decido che devo fare ordine, pena l’impossibilità di combinare qualsiasi cosa di produttivo. Mai che capiti in un tranquillo sabato pomeriggio, questa frenesia. Di solito è un martedì mattina qualunque, quando invece avrei altro di più urgente a cui pensare. Ma non c’è verso di fare altrimenti: è come se il disordine dello spazio diventasse disordine della mente. Così lascio che il computer aspetti, e metto mano ai libri.

La disposizione dei volumi nelle librerie casalinghe racconta molte cose. Lo trovo uno studio affascinante, come quello dei carrelli del supermercato - a cui non posso fare a meno di dedicarmi quando sono in attesa alla cassa, immaginandomi la vita di chi mi precede in coda.

C’è chi applica ai propri libri un rigoroso ordine alfabetico per autore e chi preferisce un criterio estetico, scegliendo abbinamenti per forma e colore; chi distingue per casa editrice e chi infila semplicemente il libro dove trova posto.

Nella casa minuscola in cui vivo ho libri dappertutto, e se entrasse uno sconosciuto solo osservandoli potrebbe farsi un’idea abbastanza precisa di come sono arrivata fin qui, dove voglio andare, e perché.

Un asinello dietro una grata: è considerato poco intelligente ma se invece fosse solo un diverso modo di capire?

Quando i bambini arrivano a sviluppare un uso autonomo del linguaggio, la prima cosa che vogliono fare è capire quel mondo intorno a loro di cui sanno ben poco.

La chiamano fase dei perché e la mia, a quanto pare, non è ancora finita.

Sono curiosa, cerco di non dare per scontate le cose, anche se ho qualche anno in più ho ancora bisogno di capire. Ho imparato che in una persona del tutto differente puoi scoprire il miglior alleato (altre volte invece continui a non trovare alcun punto di contatto, ma è pur sempre un rischio da correre) e mi godo pienamente la necessità che ho, come consulente, di studiare, approfondire, aggiornarsi.

Passo le mie giornate a comunicare. Scrivo, parlo, preparo presentazioni, vado in aula. Tra domande e risposte, ogni giorno sono circondata di parole. Per lavoro ascolto, ascolto un sacco.

Ma non è detto che questo mi abbia insegnato a capire.