Come uscire dalla comfort zone del forse

Kyoto, Gion - Forse

Saranno state le camminate nel bosco o la pila di libri letti nelle scorse settimane, quel che è certo è che a settembre mi sono ritrovata con una serie di idee appuntate su quaderni e fogli volanti – e l’annosa domanda di come ridurre il rischio che rimanessero esattamente dov’erano, fino a diventare tracce sbiadite e poco leggibili (anche grazie alla mia pessima calligrafia), e concludere quindi la loro gloriosa esistenza dritte nel cestino.

Ma perché è così difficile iniziare?

L’inizio è un momento affascinante, che porta con sé il brivido di varcare la soglia per scoprire cosa c’è oltre. Ma forse è proprio questo movimento, raccontato dai due nuclei della parola in (dentro) + ire (andare), che ci fa esitare. Perché l’inizio segna un confine chiaro, da cui non si torna indietro, o si torna indietro diversi, una volta che lo si è oltrepassato. Come essere sul bordo del trampolino, e finalmente decidere di tuffarsi.

Mi sono imbattuta per caso in Francesca Presentini, giovanissima grafica e fumettista toscana, che ha trovato un nome perfetto per il momento (lungo o breve che sia) che precede una decisione: la Comfort zone del Forse.

Un luogo apparentemente sicuro perché il forse è una sospensione, quindi una protezione dalle scelte e dalle loro conseguenze.

O, almeno, ce ne convinciamo.

Se dobbiamo scegliere tra testa o croce, il forse è la mano che racchiude la moneta, quella che ci permette in potenza di percorrere entrambe le strade finché non svela quale faccia sarà rivolta verso di noi nel lancio. Almeno per il momento, però, non ci è concessa la possibilità di scegliere un’opzione e anche il suo opposto.

Finché teniamo la moneta in mano stiamo soltanto fermi.

Tutto il resto del mondo continua regolarmente a muoversi, e così va a finire che sarà qualcuno o qualcosa a scegliere per noi. Se non siamo noi a definire una scadenza, la scadenza arriverà comunque. Le cose proseguiranno, che lo vogliamo o meno. Sarà appunto il forse, il caso che si realizza, a decidere dove andremo.

E allora, come si esce dalla comfort zone del forse?

3 modi per affrontare il forse

  • Andare al contrario

Quando siamo bloccati, continuiamo a pensare agli aspetti problematici della situazione, che ci sembrano insuperabili e quindi occupano tutto il nostro spazio di ragionamento. Dovremmo invece spostare l’attenzione su idee differenti, così da farle diventare potenziali soluzioni. Proviamo a chiederci cosa succederebbe “al contrario”:

  • Come mi voglio sentire al contrario di come mi sento ora?
  • Cosa voglio fare al contrario di ciò che sto facendo ora?
  • Dove voglio andare al contrario di dove sono ora?
  • Cosa voglio dire al contrario di quello che (non) sto dicendo ora?
  • Lui sì che ce la farebbe

Proviamo a pensare a una persona che ammiriamo. Un artista o uno sportivo, il personaggio di un romanzo o di un film, un amico o un collega o un parente. Cosa farebbe lui (o lei) al nostro posto? Come inizierebbe, da chi si farebbe dare una mano, come si preparerebbe?

Probabilmente se riuscissimo a staccarci dal nostro dentro ci accorgeremmo che anche la persona che più ammiriamo non è poi così diversa da noi. Ha i suoi dubbi e le sue difficoltà. E, allo stesso modo, anche noi possediamo un potenziale di coraggio, immaginazione, fiducia proprio come quelle che vediamo in questa persona. Forse però non l’abbiamo mai esercitato. Qual è il momento migliore per iniziare a provarci?

(spoiler – il momento migliore per iniziare è proprio adesso)

  • Ascoltare la paura

Che non è un suggerimento a girarsi e iniziare a correre nella direzione opposta. Ma provare a comprendere la paura, osservare come la sottile eccitazione di una nuova partenza si sia trasformata nel bisogno di frenare bruscamente. Ascoltare cos’ha da dirci, da cosa cerca di proteggerci. La paura ci fa stare all’erta ed è quindi una buona alleata, ci fa affrontare l’ignoto prestando attenzione e leggendo segnali che se fossimo troppo spavaldi avremmo ignorato. Impariamo a distinguere i suoi suggerimenti, stiamo attenti agli ostacoli per non inciampare – e saremo pronti a partire.

Vincere è una vittoria, ma perdere che cos’è?

Riprendo anche qui il suggerimento di Francesca, che tiene con sé un quaderno per annotare ogni vittoria e ogni “non vittoria. Da una parte i piccoli successi di ogni giorno, la soddisfazione o i complimenti per un lavoro ben fatto, le volte in cui affrontiamo una situazione che troviamo difficile e ci sentiamo orgogliosi di noi stessi.  Dall’altro “non cose che ho fatto male ma cosa posso fare meglio”. Una lista di cose ben fatte, e una di cose che verranno meglio la prossima volta. Una di sorrisi e una di opportunità.

Perché quello che oggi non sappiamo fare, non riusciamo a dire, non arriviamo a realizzare, potrebbe diventare una vittoria domani.

A volte è troppo presto, la mano resta chiusa sulla moneta e noi restiamo nel nostro confortevole forse: ma se sappiamo esattamente dove andare, prima o poi anche i cassetti più chiusi si potrebbero inaspettatamente aprire.

Laura Cerioli
laura.cerioli@yahoo.it

People Partner | HR Transformation | Leadership Development. Lavoro a supporto di aziende in crescita, in quella delicata fase di passaggio che richiede di rivedere, ottimizzare e sistematizzare i processi interni dedicati alla gestione e allo sviluppo delle persone.

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