In direzione del tuo posto nel mondo

Direzione e distanza da ushuaia

Se mi concentro sono sicura di riuscire a sentirli ancora, quei rumori. La campanella che suona, i passi che si affrettano su per le scale, le risate in direzione della nuova classe per evitare che resti vuoto solo il banco in prima fila.

Per molti è questo, il vero inizio dell’anno. Il primo giorno di scuola.

In realtà di solito io sono tra quelli che le domande sulla direzione da prendere se le fanno a capodanno: qualche volta stilando la classica lista di buoni propositi (che spesso finiscono troppo presto nel dimenticatoio), lo scorso gennaio con pensieri un po’ diversi, pronta a cominciare non solo un nuovo anno ma soprattutto una nuova vita.

Ma quest’estate un po’ anomala, di ritmi rallentati fuori e dentro, di ricordi da bambina da lasciar andare e specchi in cui guardarsi come fosse la prima volta, è stata prima una stagione di bilancio, poi di rielaborazione, infine di nuova progettazione.

Perché se non è più di moda porsi dubbi esistenziali e assoluti, se cerchi di definire i tuoi prossimi passi prima o poi almeno te lo chiedi – 

Chi sono io, in questo momento?

Di fronte a questa domanda, spesso provi una leggero senso di smarrimento, un vuoto allo stomaco. Forse perché, come ci dice lo psicologo sociale Daniel Gilbert

“gli esseri umani sono prodotti in fase di elaborazione che credono erroneamente di essere prodotti finiti”.

Come se cercassimo la foto perfetta, un’immagine senza difetti da incorniciare, destinata però a sfuggirci ogni volta che ci avviciniamo.

Se ci convinciamo di non essere all’altezza di questo statico ideale, resteremo paralizzati a fissare quella distanza che sembra impossibile da colmare. Come se fossimo destinati ad essere per sempre la fototessera della nostra prima patente.

Se invece accogliamo la nostra inevitabile incompiutezza come punto di partenza, vediamo allora la possibilità di iniziare da qui, per allenarci ad essere persone migliori, un giorno dopo l’altro.

“Che strada devo prendere?”

“Dove vuoi andare?”

“Non lo so”

“Allora – rispose lo Stregatto – non ha molta importanza” (Alice nel Paese delle Meraviglie)

Ciascuno di noi ha molti ruoli, nella propria vita. Quasi sempre siamo consapevoli solo di quelli più evidenti. In ambito professionale sembra tutto abbastanza semplice: il nostro lavoro, qualunque esso sia, si inserisce in una struttura – aziendale, sociale, relazionale – all’interno della quale occupiamo un posto, abbiamo un peso, ricopriamo appunto un ruolo.

Ma un ruolo è qualcosa di più. È una parola semplice ma affascinante:  un semplice rotolo per registrare informazioni in latino, è passata poi a indicare la parte di un attore in un’opera e, da lì, è arrivata a definire la nostra modalità di affrontare ogni singola interazione con gli altri.

Nel teatro greco, il ruolo aveva una maschera fissa, con le sole espressioni estreme e contrapposte di gioia e disperazione. Oggi ogni ruolo che ricopriamo è invece una sfaccettatura delle maschere che indossiamo, racconta ciò che scegliamo o a cui ci adattiamo, quello che vogliamo mostrare e quello che vogliamo nascondere.

Abbiamo un ruolo sul lavoro e uno nel gruppo di amici, uno in famiglia e uno con cui partecipiamo alle attività della comunità.

Spesso ce li troviamo addosso, quasi senza sapere come. In azienda si parla di strategie e obiettivi, ma quasi sempre le consideriamo cose che non ci riguardano, o su cui non abbiamo voce in capitolo: facciamo parte di una struttura e diamo per scontata la necessità di adattarci a ciò che ci viene calato dall’alto. Nella vita personale, scegliere una direzione e disegnare il nostro itinerario quasi non ci viene neppure in mente.

Ma per realizzare i nostri sogni, che persona vogliamo diventare?

Non servono rivoluzioni di cui non ci sentiremmo all’altezza, basta iniziare dalle singole azioni di ogni giorno.

Sarebbe un bell’esercizio scrivere la nostra versione di ognuno dei ruoli che quotidianamente ci troviamo a ricoprire. Magari ispirandoci all’elenco che ho trovato in un post di Seth Godin, che suggerisce una serie di attività che probabilmente nessuno ha mai pensato di inserire in una job description:

  • Mettere energia nelle conversazioni cui prendiamo parte
  • Chiedere perché
  • Trattare i clienti meglio di quanto si aspettano
  • Lasciare le cose più ordinate di come le abbiamo trovate
  • Essere leggeri, anzi stupidi, almeno una volta ogni tanto
  • Mettere in luce il lavoro ben fatto dai colleghi
  • Migliorare nel proprio lavoro, studiando o seguendo corsi
  • Incoraggiare la curiosità
  • Capire cosa non ha funzionato
  • Sorridere un sacco

Sembra una bella azienda, sembra un bel ruolo. E anche al di là del lavoro, sembra una bella vita.

 

E tu? Sei pronto a scrivere la tua lista?

Io dal 15 settembre scriverò la mia prendendo spunto dalle cose che impariamo e possiamo portare a casa da un viaggio, se vuoi partecipare anche tu a questo percorso gratuito iscriviti subito qui!

Laura Cerioli
laura.cerioli@yahoo.it

People Partner | HR Transformation | Leadership Development. Lavoro a supporto di aziende in crescita, in quella delicata fase di passaggio che richiede di rivedere, ottimizzare e sistematizzare i processi interni dedicati alla gestione e allo sviluppo delle persone.

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