Vado a fare un giretto – ovvero, il mio trimestre sabbatico

Certe mattine ti alzi con il piede sbagliato, nessuno sembra capire quello che dici e ti sembra poco probabile che le cose possano migliorare nel prossimo (e a volte, se ti senti particolarmente pessimista, anche nel più lontano) futuro.

Ognuno ha la propria strategia per affrontare giornate così.

C’è chi infila il cucchiaio nel vasetto di gelato, chi va a fare shopping. Chi se la prende con il primo che gli capita a tiro. Chi si rifugia nella lamentela di quello che in ufficio avevamo definito “l’angolo della sterile polemica”. Io, solitamente, immagino di abbassare con tutta calma lo schermo del portatile, chiuderlo nell’armadio, uscire dalla porta e andare direttamente in stazione senza nemmeno passare da casa.

Che in pratica è quello che ho fatto.

D’accordo, non mi sono esattamente svegliata una mattina e ho fatto lo zaino per accontentare una voce che mi suggeriva insistentemente di partire. Erano probabilmente settimane o anche mesi che mi svegliavo ogni giorno con quel senso di insofferenza, di essere sempre in bilico senza riuscire a fermarmi. Con quel pensiero in testa.

La differenza è che questa volta l’ho ascoltato.

Un sabbàtico. Più raro di un unicorno e probabilmente ancora più difficile da raggiungere. Almeno questa era quello che pensavo. No dai, non è così. È molto peggio.

La verità è che io il sabbatico non mi permettevo nemmeno di immaginarlo.

Perché sì, ammettiamolo. La parola mette un certo brivido di proibito. Dove si incastra in una vita come tante, quando hai un lavoro che pure ti piace e, che cavolo, sei una persona adulta che dovrebbe avere la testa sulle spalle?

L’origine del termine è affascinante e contiene un’idea di grande potenza. Riprende la simbologia del numero sette, come il giorno di riposo al termine della Creazione. Il sabbatico per gli Ebrei era l’ultimo anno in un ciclo. Un anno in cui i campi erano lasciati liberi dalla coltivazione, gli schiavi venivano liberati, i debiti condonati. Un momento di sospensione che riportava le vite dei singoli alla ciclicità naturale che l’essere umano, forse unico tra gli animali, sembra costantemente tentare di negare e cancellare.

Stefan Sagmeister, graphic designer che ha lavorato per i Rolling Stones e il Guggenheim Museum, per Lou Reed e la Time Warner, ogni sette anni chiude il proprio studio di New York e si regala dodici mesi di libertà. Resto folgorata a sentirlo spiegare, nel suo Ted Talk del 2009, che ha scelto di “prendere in prestito” gli anni della pensione per intervallare una routine di lavoro che, inevitabilmente, rischia di schiacciare lo slancio creativo che sta alla base della sua attività. Lo definisce un anno per dedicarsi a sperimentare, a perseguire idee che non avrebbero l’opportunità di vedersi dedicare la giusta attenzione all’interno dei vincoli imposti dai clienti. Spesso ne vengono fuori ispirazioni apparentemente estemporanee ma non per questo meno remunerative. Soprattutto, lo vede come un investimento in se stesso, un modo per scoprire cose nuove che possono piacergli e guidarlo in una nuova evoluzione, della sua professione ma anche di se stesso.

Ho faticato ad arrivare alla fine dell’intervento, che chiaramente rischiava di suscitare in me velleità irrealizzabili. Mi pareva evidente.

Il sabbatico è riservato a chi se lo merita, a chi ha doti eccezionali. In nome dell’arte o della ricerca.

Non per me. Non per me.

E perché no?

Questa volta mi sono permessa di dirmi che lo volevo fare. E ho comprato un biglietto per Buenos Aires. I passaggi razionali sono venuti solo dopo. Ho dovuto ribaltare quello che sarebbe stato il mio modo naturale di affrontare la questione – prima il ragionamento e la valutazione dei pro e contro, poi l’azione.

Quando serve una dose extra di coraggio, la logica non sempre aiuta.

Ho preso il biglietto e l’ho detto alle amiche più vicine, quelle che sapevo avrebbero capito cosa intendevo parlando di quel senso di spazio e leggerezza che prende vita al solo pensiero di viaggio. Quelle che ero certa mi avrebbero assestato il proverbiale calcio se avessi cercato di tirarmi indietro per le ragioni sbagliate. Per paura di quello che può pensare la gente, per il senso di dovere nei confronti del lavoro, per timore di essere sempre diversa, per non perdere tempo.

Una di loro, che sa esattamente come andare a solleticare la mia curiosità, mi ha fatto scoprire che non sono la sola che, sentendo che un intero anno di stacco era troppo (o forse prematuro?), si è inventata un’alternativa cucita su misura.

Gli autori del sito Supergood Life, infatti, per mediare tra attività di freelance e bisogno di ricaricarsi hanno sperimentato non solo il mese sabbatico ma, addirittura, il weekend sabbatico.

Offrono spunti pratici ma, soprattutto, suggeriscono di utilizzare questo tempo per dedicarsi al proprio Fantaprogetto.

un progetto creativo mediamente inutile ma che ti piacerebbe tanto poter fare.

(e già adoro la definizione)

Non per cercare o darsi obiettivi.

La natura del sabbatico non è quella della realizzazione. Al contrario, è la sospensione. La rigenerazione.

Una versione macro del sabato ebraico, in cui ogni lavoro materiale è vietato, in cui il corpo deve fermarsi nel riposo, in cui si ci si dedica solo allo spirito. Un pausa dal rumore di fondo, che permetta di imparare invece a sentire te stesso. Per una volta, fare senza sapere esattamente il perché (uno sforzo titanico, nel mio caso).

Così, scrivo da questo aereo in volo ormai da quasi dodici ore. Emozionata e curiosa di quello che sta per iniziare. Con il computer, la macchina fotografica, i libri e i quaderni che sono riuscita a incastrare nello zaino.

Grata dell’ondata di sostegno che mi ha accompagnato verso la partenza.

E mi rendo conto che per tutta una vita ho cercato di fare “ciò che va fatto”. Per corrispondere, per andare bene. E ora che sto facendo la cosa più fuori dai canoni che abbia anche solo mai immaginato di fare, sento che non mi hanno mai voluto tanto bene. Forse perché per la prima volta mi sono lasciata vedere, invece di mostrare solo un’immagine.

Forse perché stavolta accolgono veramente me.

Laura Cerioli
laura.cerioli@yahoo.it

People Partner | HR Transformation | Leadership Development. Lavoro a supporto di aziende in crescita, in quella delicata fase di passaggio che richiede di rivedere, ottimizzare e sistematizzare i processi interni dedicati alla gestione e allo sviluppo delle persone.

5 Comments
  • Antonio
    Posted at 16:24h, 08 Settembre Rispondi

    In bocca al lupo Laura!! Massima stima e approvazione!

    • Katia
      Posted at 11:52h, 11 Settembre Rispondi

      Ciao Laura, mi viene da citare “Quello che abbiamo alle spalle e quello che abbiamo davanti sono piccole cose se paragonate a ciò che abbiamo dentro”(Ralph Waldo Emerson). Buon viaggio nel tuo mondo “interno”, accompagnato da un entusiasmante e abilitante contorno di scoperta di mondo “esterno”.

      • Laura
        Posted at 12:14h, 13 Settembre Rispondi

        Grazie Katia 🙂

  • MONICA
    Posted at 11:00h, 27 Dicembre Rispondi

    che bello, mi sento un po’ vigliacca…. vorrei farlo anch’io.

    • Laura
      Posted at 10:17h, 29 Dicembre Rispondi

      Ciao Monica! Non ci sono mica arrivata nemmeno io in un secondo 😉 Ognuno ha il suo percorso e il suo tempo… il mio era arrivato e sono molto curiosa di vedere dove mi porterà 🙂

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