Mezzo chilo di talento, grazie

Alice nel Paese delle Meraviglie, Murales a Londra

Da brava perfettina, vivo i giorni prima di andare in aula proprio come se fossi tornata ai tempi dell’università. Pagine di appunti, mappe per schematizzare quello che dirò, ripassi dell’ultimo minuto. Tutto ben preciso e organizzato.

Poi, giusto per contraddire la teoria di tutta questa preparazione rigorosa, durante un workshop sul talento le prime parole che sono uscite dalla mia bocca sono state “Ciao, sono Laura e sono una scrittrice.

Hai mai provato a dire una cosa del genere?

È parecchio stano, te lo garantisco. Mi sono stupita anche io. Una parte di me si aspettava di sentire qualche risatina, o per lo meno che qualcuno alzasse la mano chiedendo se ero sicura di stare bene. Mi sentivo priva della legittimazione di un termine a cui abbiamo associato un significato delimitato da paletti ben precisi. Ma perché, poi?

Scrivo, mi piace, mi fa stare bene.

Quindi sono una scrittrice, come sono una maratoneta anche se non vincerò mai una gara.

Cos’è il talento?

Il tema mi appassiona. Me ne sono occupata in azienda, coinvolta in quella che viene definita la guerra dei talenti, collaborando con le scuole nel passaggio verso il mondo del lavoro, andando in Università per individuare gli studenti più brillanti, costruendo percorsi per supportare la crescita e l’evoluzione dei colleghi.

Fino a poco tempo fa non avevo mai messo in discussione la visione standardizzata che incasella il talento di due categorie.

  • La visione aziendale, che definisce il talento come insieme di quelle caratteristiche che aiutano ad essere più efficaci nell’esecuzione, nella comunicazione, nella guida di un team.
  • La visione artistica, che lo individua come dono di pochi, genio inarrivabile ai più. Qualcosa di lontano e quasi misterioso, che vale solo per i virtuosi della musica, della letteratura, della danza, della pittura.

Chi ti credi di essere, con questa pretesa di avere talento?

Non per te, era il messaggio tra le righe.

Ad un certo punto, però, ho iniziato a pensare che limitando la discussione a questi due punti di vista, forse mi stavo perdendo qualcosa.

Come funziona il talento?

La folgorazione l’ho avuta approfondendo la storia di questa parola. Sono finita nell’antica Grecia, dove talento era l’unità di peso che veniva posta in uno dei piatti della bilancia.

Deriva da qui la correlazione con la nostra inclinazione. Ma, ancor più forte, mi è rimasta in testa questa connotazione di peso.

Ogni nostro talento è una responsabilità. Senza dover essere i migliori o i primi.

Avere talento non ci conduce per forza a diventare ricchi e famosi. Né tanto meno può essere questa la misura del nostro valore. Io credo che  esprimere il proprio talento dovrebbe significare prima di tutto proteggere sempre uno spazio per ciò che ci fa sentire pieni, ciò che ci permette di realizzare una parte di noi stessi vera e forte, che ci rende felici per il solo gusto di farlo.

Se continuiamo a vedere il talento come qualcosa che appartiene solo a pochi eletti, per diritto di nascita, diamo per scontato che qualsiasi nostro tentativo di renderlo vivo sia fondamentalmente inutile.

La scorsa settimana sono andata alla premiazione di un concorso di scrittura. Una sala piena di persone unite dallo stesso slancio. Pochi di noi vedranno mai un loro racconto pubblicato, forse nessuno potrà mai vivere di questa passione.

Ma probabilmente quello che aveva dato senso al desiderio di ciascuno dei partecipanti era il fatto di provarci. Passare una notte a scrivere, mandare il proprio testo, attendere. Iniziare, sbagliare, ripetere.

Per noi stessi, prima che per chiunque altro. Per riconoscerci, non per ricevere riconoscimento.

Il talento è la nostra ricchezza, ma non ci viene concesso gratuitamente. È una caratteristica unica del nostro modo di essere, che sta a noi mettere a frutto investendoci tempo, dedizione, impegno.

È questione di talento, ma ancor più è questione di allenamento.

Di vedere quello che ci rende unici e di coltivarlo giorno per giorno, mettendolo a disposizione e a beneficio anche degli altri. Penso sia una delle strade verso una vita piena, in cui ci riconosciamo e sentiamo di avere la possibilità di essere noi stessi.

Laura Cerioli
laura.cerioli@yahoo.it

People Partner | HR Transformation | Leadership Development. Lavoro a supporto di aziende in crescita, in quella delicata fase di passaggio che richiede di rivedere, ottimizzare e sistematizzare i processi interni dedicati alla gestione e allo sviluppo delle persone.

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