Guida minima per il collezionista di parole: Trovare (o Perdere?)

Sono due anni che sono alla ricerca, e la sola cosa che ho capito è che è dannatamente faticoso.

La verità è che, ad un certo punto, mi sono resa conto per la prima volta che tra essere in grado di raggiungere un obiettivo e avere la capacità di definirlo, c’è un abisso. E se sono la persona giusta a cui dire “Si deve arrivare là” per essere certi che “là” sarà esattamente dove arriveremo, dovesse anche cascare il mondo, quando si tratta di individuare da zero il punto di arrivo sono invece una frana.

Più diventavo abile nel mettermi a testa bassa in direzione di un traguardo che mi veniva indicato, tanto più spostavo l’esigenza di darmi in prima persona un indirizzo. Molto meglio investire le mie energie nel portare avanti ciò che mi veniva proposto, dimostrando così di essere una persona su cui contare. A quel punto le occasioni hanno iniziato direttamente a bussare alla porta. E così è stato più semplice coglierle, addirittura quasi impossibile sottrarsi alle loro lusinghe.

Sempre senza dovermi in realtà esporre fino in fondo.

Perché se invece sei tu a dover tracciare la rotta in un mare ancora inesplorato, è tutto diverso. La prospettiva di definire dove sarò tra cinque anni mi ha sempre messo in uno stato di paralisi. Come se dichiarare, anche solo a me stessa, che la mia intenzione era quella di, determinasse poi l’impossibilità di qualsiasi correzione in corso d’opera. Hai detto che l’avresti fatto, come puoi tirarti indietro o affermare che hai cambiato idea?

Però, che tu lo scelga o meno, può capitare che un giorno qualche dubbio ti venga.

Così, ti metti a cercare.

Il problema è che, dopo anni dedicati ad individuare il modo più rapido ed efficiente per raggiungere una meta, quello che volevo era solo una risposta. Più che cercare, volevo trovare. Velocemente, senza tanti voli pindarici. Per me il modo naturale per andare da A a B è una linea retta. Scelgo, miro, vado. Ho sempre snobbato come irritanti e poco utili i meandri di un approccio che accolga anche l’esitazione, il desiderio di fermarsi, lo spazio per una seconda valutazione.

Trovare è un verbo rassicurante.

Suggerisce l’esito positivo di una fase di affanno e incertezza, richiama stabilità, un approdo sicuro. Mentre cercare implica domande, dubbi, tentativi senza certezza del risultato. Tutte cose che ci piacciono poco.

Ancora peggio quando ci rendiamo conto che nell’equazione entra in gioco anche un terzo verbo.

Perdere.

Una deviazione dalla retta via che non può che portare conseguenze negative. Addirittura, guardando alla sua etimologia, l’eco di una sconfitta, di rovina, di danno quasi irreparabile.

Ma se non fosse proprio così? Se perdersi fosse invece una parte essenziale della nostra ricerca?

Gli esploratori erano sempre persi, perché nessuno era mai stato in quei luoghi prima di loro. Non avevano la pretesa di sapere esattamente dove si trovavano. (…) La loro abilità più importante era semplicemente la convinzione ottimistica che sarebbero sopravvissuti e alla fine avrebbero ritrovato la loro strada. (A Field Guide to Getting Lost, Rebecca Solnit)

Ci convincono, o ci convinciamo, che è troppo tardi. Un proverbio cinese dice che il momento migliore per piantare un albero è venti anni fa. Ce lo ripetiamo quando immaginiamo di fare qualcosa di nuovo. Imparare una lingua straniera o a suonare uno strumento. Rimetterci a studiare. Cambiare.

Ormai” ci sembra la risposta giusta.

Lo stesso proverbio ci dice però che il secondo momento migliore per piantare quell’albero è ora. Perché se non inizio oggi a scattare foto, tra 10 anni sarò comunque dieci anni più vecchia di quanto sia ora. E continuerò a non saper fotografare. Se non ci provo, mi sono già data la risposta. Scegliere ci da un potere che nemmeno potevamo immaginare fino a un attimo prima. Quello di agire sulle piccole cose. Che sono poi quelle che indirizzano la rotta.

E se capiamo di essere fuori strada? Cosa possiamo fare?

Perdersi è allontanarsi da un percorso tracciato ma non è irreparabile. Anzi, cercando di tornare in un solo balzo sulla “retta via” rischiamo solo di cadere e farci male. A volte tornare sui propri passi non è uno spreco di tempo. Anzi, ci aiuta a ricordare che un errore non mette in discussione tutto quello che abbiamo fatto fino a quel momento.

Forse, non è poi così differente da quando non troviamo le chiavi di casa. Di solito il consiglio che riceviamo è di smettere di pensare e ripensare a dove possiamo averle appoggiate distrattamente, perché proprio così ce ne ricorderemo. E, forse, il nostro cervello funziona in modo simile anche quando ciò che desideriamo ritrovare è noi stessi.

La natura delle cose è quella di essere perse, non il contrario. (…) Abbiamo trasformato l’eccezione in regola, credendo di poter avere quello che invece in generale perdiamo. (ibid)

Tim Ferris, a trent’anni e lavorando 14 ore al giorno, scrive “Quattro ore alla settimana. Non sa esattamente cosa cerca, ma sicuramente non vuole iniziare a vivere la sua vita solo dopo la sequenza predefinita di lavoro-senza-orari/risparmio/spero-di-arrivare-alla-pensione. La cosa che più mi ha affascinato, però, è come prosegue la sua storia. Oggi, infatti, dopo essere stato in cima alla classifica dei più venduti con un altro paio di libri, ha deciso di dedicare periodi molto più brevi, dai 3 ai 6 mesi, a sperimentare ciò che in quel momento attira maggiormente la sua attenzione. Ciò che lo appassiona.

Non ha idea di dove lo porteranno esattamente questi esperimenti, sa solo che partono dal suo bisogno profondo di conoscere. E, contemporaneamente, questo approccio gli permette di non associare il successo o meno dell’impresa (e quindi, in fondo, di se stesso) al raggiungimento di un determinato risultato. In questo modo, la sua energia viene concentrata nel fare del proprio meglio.

Cercare di raggiungere il miglior risultato possibile. Qualunque esso sia.

 

Lascia aperta la porta che affaccia su ciò che è sconosciuto, la porta sul buio. Le cose più importanti vengono da là, tu stesso vieni da là, ed è là che andrai. (Ibid)

Laura Cerioli
laura.cerioli@yahoo.it

People Partner | HR Transformation | Leadership Development. Lavoro a supporto di aziende in crescita, in quella delicata fase di passaggio che richiede di rivedere, ottimizzare e sistematizzare i processi interni dedicati alla gestione e allo sviluppo delle persone.

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